TORINO, TEATRO CARIGNANO, 18 – 30 novembre 2014
Tragedia del potere e del dovere tinta di grottesco; dramma dell’amore filiale e del tradimento; affresco di un mondo piombato nel caos, sui bordi di una nuova era. Le caratteristiche dell’universalità e le stigmate della modernità Re Lear le ha proprio tutte. Tanto che il grande critico Harold Bloom lo colloca, insieme ad Amleto, a formare una sorta di “scrittura” laica o di mitologia del contemporaneo. E così appare quasi naturale che il Lear di Michele Placido, in un mondo in preda al disordine e alla rovina, si aggiri in una desolata periferia industriale, dalle cui macerie fanno capolino le icone spezzate di regnanti post-moderni, da Kennedy a Lenin, dalla regina Elisabetta a Bin Laden. All’inizio del dramma, Lear rinuncia al suo ruolo, spogliandosi della corona per tornare uomo tra gli uomini, rifarsi bambino e in pace «gattonare verso la morte». Ma come un bambino, con un ultimo capriccio da re prima di passare le consegne, pretende che le figlie gli dimostrino a parole il loro amore: la schietta Cordelia, incapace, al contrario delle sorelle, di ipocrisia e adulazione, viene ripudiata per questo. «È questo equivoco – scrivono Placido e il co-regista Francesco Manetti – questo confondere l’amore con le parole, che farà crollare Lear rendendolo pazzo. E con lui è il mondo intero che va fuor di senno, la natura scatenata e innocente riprende il suo dominio, riporta gli uomini al loro stato primordiale, nudi e impauriti a lottare per la propria sopravvivenza».