Guardare nel fondo del pozzo del teatro aiuta a credere sia nella finzione che nella negazione della stessa: nessuno meglio di Franco Branciaroli è in grado di far dialogare personaggio e uomo, oggettività e squilibrio in questa celebrazione della lucida follia ad opera di Luigi Pirandello.
In bilico tra follia e finzione, tra manipolazione della verità e impossibilità di calarsi nella realtà del mondo, Enrico IV narra la fuga dal reale attraverso il teatro. Dopo il vecchio mattatore shakespeariano di Servo di scena di Harwood, Il Teatrante di Bernhard e Don Chisciotte di Cervantes, Branciaroli mette in scena per la prima volta un testo di Pirandello, scegliendo la crudeltà e la spietatezza di questo dramma sul rifiuto del mondo e delle sue convenzioni. Opera in 3 atti, scritta nel 1921 e rappresentata per la prima volta nel 1922, Enrico IV è uno studio sul significato della pazzia e sul tema del rapporto complesso e inestricabile tra personaggio e uomo, finzione e verità. Pirandello si avvicina alla psicanalisi freudiana dopo la malattia della moglie Antonietta, lunga e penosa discesa nei gironi della follia che influenzerà la produzione del drammaturgo, amplificando i temi della perdita dell’Io e del contrasto tra vita e forma che connotano le sue principali opere. Enrico IV è la recita di una recita: quella di una cavalcata in costume dove i partecipanti scelgono di vestire i panni di un personaggio storico e della sua dama. Il protagonista, che vent’anni dopo la caduta che lo ha fissato nel tempo insieme al travestimento, mantiene il nome del suo personaggio storico, è vittima non solo della follia, ma dell’impossibilità di adeguarsi al modus vivendi di chi lo circonda.