Il personaggio che si crede Edipo, il vecchio meridionale affetto da sindrome paranoica, ripercorre le tappe di un’esperienza estrema, di un viaggio allucinato che, se da una parte gli permette di vedere «cose nascoste alla innocente salute», dall’altra lo riporta ossessivamente alla vicenda mitica nella quale si identifica, i cui temi principali sono la persecuzione di LUI («Febo, o Ra o Iaveh o Coatl o qualsiasi altro voglia essere quel nome»), la colpa tragica dell’eroe e il disperato desiderio di riposo e di oblio. Anche se, qua e là, brandelli della vita del personaggio del piccolo proprietario meridionale si affacciano, spesso in funzione parodistica, la parte di Edipo nel suo insieme si muove su un registro ambiguo: il personaggio e l’autore si confondono in una sola voce. Perché anche l’autore si è riconosciuto, attraverso un’esperienza estrema, in Edipo Re. Il dramma è dunque il documento di una doppia identificazione allucinata, che viene rappresentata come delirio persecutorio e autopunitivo. Così invece di scrivere un poema simile alle altre composizioni, che fanno parte della seconda sezione de Il mondo salvato dai ragazzini, Elsa Morante trasforma il poema in dramma. Un dramma, quindi: dei personaggi, il vecchio pazzo che si crede Re Edipo, la figlia adolescente da lui creduta Antigone; un luogo, il corridoio del reparto neurodeliri del Policlinico di una città sudeuropea; i guardiani, la suora, il dottore, ecc. Ma il poema non viene dissolto del tutto nel dramma; ne sono testimoni la lingua di Edipo, di una letterarietà provocatoria, e anche la presenza dei due lunghi soliloqui, o melologhi, di Edipo, che sembrano due poemi incastonati nello svolgimento del dramma.
Carlo Cecchi