Si è spento a Milano, all’età di 97 anni, il regista e sceneggiatore Gianfranco de Bosio, protagonista di spicco del teatro italiano del secondo dopoguerra. Diresse il Teatro Stabile di Torino dal 1957 al 1968: questo il ricordo di Pietro Crivellaro, a lungo Responsabile del Centro Studi dello Stabile.
Rimasto attivo e infaticabile fino agli ultimi anni, si è spento il 2 maggio a Milano dove abitava il regista Gianfranco De Bosio. Aveva 97 anni. Con lui se ne va uno dei grandi maestri della regia del dopoguerra in Italia, autore di moltissimi spettacoli, progressivamente passato dal teatro di prosa a quello d’opera, con rilevanti incursioni anche nel cinema e nei film per la televisione. Torino deve ricordarlo come il vero fondatore del suo Teatro Stabile, il brillante direttore che nel 1957 ha raccolto il fragile “Piccolo teatro”, fondato due anni prima dal comune, e nel successivo decennio fino al 1968 – emblematica data di svolta -, ha saputo trasformarlo in un solido e vivace teatro pubblico, radicato nei classici e aperto alle novità della drammaturgia internazionale.
Nato nel 1924 a Verona da famiglia agiata e colta, formatosi all’Università di Padova alla scuola di umanisti illustri come Concetto Marchesi, Manara Valgimigli e Diego Valeri, dopo l’8 settembre 1943 da studente di lettere divenne protagonista di primo piano della resistenza nel Veneto e membro del Cln di Verona per la Democrazia Cristiana, con rischio costante della vita. Dopo il 25 aprile 1945 rinunciò a una brillante carriera politica nella Dc a vantaggio del collega romano Giulio Andreotti, per consacrarsi definitivamente alla scena dando vita al Teatro dell’Università di Padova. Per completare la sua formazione frequentò nel 1947 la scuola di Jean-Louis Barrault nella Parigi dell’immediato dopoguerra, piena di vivacità e nuovi fermenti culturali. Qui conobbe tra gli altri Jean Vilar e Louis Jouvet, strinse amicizia con i mimi Jacques Lecoq e Marcel Marceau e con il regista Roger Blin, che era stato assistente di Antonin Artaud e firmerà storiche regie di Samuel Beckett e Jean Genet.
Messosi in luce al Teatro dell’Università di Padova con innovativi spettacoli di rigore filologico e vitalità scenica e poi come regista indipendente di primarie compagnie, De Bosio approdò a Torino a 33 anni per allestire Liolà di Luigi Pirandello che andò in scena all’inizio del 1957 al Teatro Gobetti. Lo spettacolo, con Leonardo Cortese protagonista, fu il primo autentico successo del “Piccolo teatro” di Torino che riempì per un mese la storica sala, davvero piccola come si sa, in cui agiva allora il giovane stabile. Al successo contribuì un pizzico di scandalo perché il personaggio Liolà è un esuberante contadino siciliano, padre di tre bambini di mamme diverse. Ugualmente il sindaco democristiano Amedeo Peyron non si lasciò sfuggire il giovane regista di talento. Mettendo a tacere dissensi nella Dc torinese (solo oggi sappiamo, grazie al potente appoggio di Andreotti sottosegretario allo spettacolo) gli affidò la direzione dello Stabile cittadino, che De Bosio riuscì a mantenere con autorevolezza per diversi anni, nonostante occasionali polemiche per qualche spettacolo ritenuto immorale dall’ala conservatrice, ma puntualmente difeso a spada tratta dalla sinistra. Del resto non rari erano i casi di censura di spettacoli teatrali e di film nell’Italia degli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, con polemiche clamorose e processi.
Dopo le prime stagioni di assestamento in cui portò a Torino la comicità stralunata del giovane Dario Fo e seppe cimentarsi con l’ostico verso delle tragedie di Vittorio Alfieri, nel 1961 De Bosio si impose con un grande allestimento della Moscheta di Ruzante, nella ruvida lingua del padovano cinquecentesco da lui riscoperta nei saggi dell’Università di Padova. Lo spettacolo era già stato acclamato a Parigi come una rivelazione, così fu applaudito anche dal pubblico torinese che giudicò provinciali i dissensi. Dell’amato Ruzante De Bosio porterà poi in scena a Torino anche Anconitana e Bilora (1965) e infine I dialoghi (1968). In seguito realizzò al Piccolo di Milano La Betìa e nel 1972 anche l’omonimo film con Nino Manfredi, Rosanna Schiaffino e Lino Toffolo che ebbe un grande successo commerciale.
Nel 1961, nell’euforia dei festeggiamenti per il centenario dell’unità d’Italia, De Bosio riuscì a portare i maggiori spettacoli dello Stabile torinese al Teatro Carignano, di proprietà del comune, ma affidato da decenni all’impresario Daniele Chiarella. Il primo fu La resistibile ascesa di Arturo Ui di Bertolt Brecht, con una folla di attori e Franco Parenti protagonista; seguì La cameriera brillante di Carlo Goldoni, con Adriana Asti e Sergio Tofano. Nel 1962 fu la volta della Celestina, classico spagnolo di Fernando de Rojas, con Sarah Ferrati e Franco Parenti; poi La sua parte di storia, novità di Luigi Squarzina, con Laura Adani, Carla Gravina, Franco Parenti, allestita per il festival della prosa di Venezia, che approdò al Carignano dopo il debutto alla Fenice. Lo storico e illustre Carignano diverrà stabilmente sede ufficiale dello Stabile solo dal 1977, ma è stato De Bosio a gettare le basi del recupero pubblico.
Nel 1963 a sorpresa il direttore dello Stabile di Torino vinse il premio della critica italiana al festival del cinema di Venezia con Il terrorista, il suo film d’esordio, sceneggiato con il collega regista Luigi Squarzina e prodotto dalla “22 ottobre”, società milanese diretta dal regista Ermanno Olmi e dal critico cinematografico Tullio Kezich. Nel film De Bosio rielabora le sue esperienze più drammatiche vissute nel periodo della resistenza a Padova, trasferendole abilmente in una Venezia invernale e minore, con calli e piazzette solitarie di straordinaria suggestione. Il protagonista è Gian Maria Volontè con il suo stile brusco e severo nei panni del partigiano padovano Otello Pighin che, dopo clamorosi attentati, viene ucciso dai tedeschi. Accanto a Volonté, De Bosio scelse alcuni attori affermati nel cinema come Philippe Leroy, Anouk Aimée, la giovane Raffaella Carrà e altri noti soprattutto a teatro come Tino Carraro, Franco Graziosi, Giulio Bosetti, Carlo Bagno, mentre Squarzina vestì la tonaca del prete schierato con la resistenza. Il film piuttosto anomalo per l’agiografia partigiana cara al Pci dell’epoca, è stato riscoperto qualche anno fa da Nanni Moretti al Torino filmfestival e resta oggi uno dei più autentici del genere.
Grazie al film che piacque molto a Jean Paul Sartre, De Bosio ottenne dallo scrittore francese il permesso di mettere in scena a Torino Les mains sales, un controverso dramma del 1948 che l’autore aveva ritirato dalle scene perché ritenuto duramente anticomunista. Le mani sporche con Giulio Bosetti, Gianni Santuccio e Paola Quattrini andò così in scena al Carignano il 24 marzo 1964. Intanto De Bosio aveva allestito al Teatro Gobetti Il re muore di Eugène Ionesco, uno dei testi più emblematici del “teatro dell’assurdo”, nella traduzione di Gian Renzo Morteo che fu uno dei più fidati collaboratori del regista allo Stabile di Torino. Sullo stesso filone dell’avanguardia, nel 1965 portò a Torino Roger Blin per affidargli la regia italiana di Giorni felici di Samuel Beckett, con Laura Adani protagonista.
La carriera torinese di De Bosio culminò idealmente nel 1966 con la riduzione scenica di Se questo è un uomo di Primo Levi. Il regista assecondò l’autore che temeva una versione biografica centrata sulla sua persona e allestì uno spettacolo corale, di grande intensità drammatica. Per ricreare l’ambiente del lager con prigionieri di ogni nazione riuscì a reclutare una cinquantina di attori da teatri di tutta Europa, molti dai paesi dell’est allora chiusi nel blocco sovietico. Il debutto a Firenze per la rassegna dei teatri stabili fu impedito dalla drammatica alluvione dell’Arno del 4 novembre, così la prima avvenne al Carignano di Torino il 18 dicembre. Lo spettacolo accolto con favore dal pubblico fu replicato per un mese.
De Bosio lasciò la direzione a Torino all’inizio del 1968, mentre stava per andare in scena il grandioso allestimento di Riccardo III di Shakespeare diretto dal giovane Luca Ronconi, interpretato da Vittorio Gassman. Rimarrà un evento memorabile nell’intera storia dello stabile torinese. Subito dopo Torino De Bosio fu chiamato per un biennio nella sua Verona come sovrintendente dell’Arena, dove tornerà in seguito lasciando a lungo la sua impronta di abile direttore artistico e di regista d’opera. Nel 1974 diresse per la Rai il kolossal internazionale Mosé, sceneggiato da Anthony Burgess, con Burt Lancaster protagonista e le musiche di Ennio Morricone.
Nel 1962 De Bosio si era sposato con la coreografa di origine ungherese Marta Egri, un anno dopo nacque il figlio Stefano, oggi avvocato. Marta, che è morta pochi mesi fa novantenne, era sorella di Susanna che tuttora dirige a Torino la nota scuola e una storica compagnia di danza. Marta e Susanna sono figlie di Erno Egri Erbstein, l’allenatore che subito dopo la guerra fu l’artefice del Grande Torino e che morì con l’intera squadra nello schianto di Superga del 4 maggio 1949.
L’autobiografia di Gianfranco De Bosio La più bella regìa. La mia vita pubblicata nel 2016 da Neri Pozza, si legge come un romanzo che, mentre racconta la sua intensa e varia carriera di uomo di spettacolo, si intreccia con buona parte della storia civile e culturale del nostro paese attraverso il Novecento. (Pietro Crivellaro)