Martedì 8 novembre 2022 alle ore 19.30 debutta al Teatro Carignano lo spettacolo Ferito a morte, di Raffaele La Capria, dal romanzo che nel 1961 gli valse il Premio Strega. La regia è di Roberto Andò e l’adattamento di Emanuele Trevi. In scena, Andrea Renzi, Paolo Cresta, Giovanni Ludeno, Gea Martire, Paolo Mazzarelli, Aurora Quattrocchi, Marcello Romolo, Matteo Cecchi, Clio Cipolletta, Giancarlo Cosentino, Antonio Elia, Rebecca Furfaro, Lorenzo Parrotto, Vincenzo Pasquariello, Sabatino Trombetta, Laure Valentinelli. Scene e luci sono di Gianni Carluccio, mentre i costumi sono di Daniela Cernigliaro. Il suono è di Hubert Westkemper e il video di Luca Scarzella. Lo spettacolo, coprodotto dal Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale e dal Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Fondazione Campania dei Festival, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, sarà in scena nella stagione in abbonamento dello Stabile fino a domenica 13 novembre 2022.
Note di Roberto Andò
Forse il grande tema di Ferito a morte è il tempo, l’irretimento e l’abbandono che convivono in modo speciale nel nostro modo di sostarvi dentro, nella nostra coscienza del suo scorrere incessante fuori e dentro di noi. Ferito a morte è un romanzo divenuto molto presto un classico, su cui molto è stato scritto. Di tutto quello che ho letto mi è rimasta una memoria molto viva del commento di Domenico Starnone, lì dove dice che “L’impressione più̀ duratura di quella prima lettura fu la confusione emozionante delle voci. Mi sembrò di finire dentro la radio mentre qualcuno gira la manopola e l’asta scorre attraverso le stazioni. Ma con mia meraviglia tutto era comprensibile. Scoprivo e insieme riconoscevo luoghi, sensazioni, persone, formulari, toni, la mia stessa città. Insomma, c’era racconto, ma era un modo assolutamente diverso di raccontare. Era – mi sembrò – un modo assai più̀ vero”. Parole che potrei fare mie, anche se Napoli non è la città dove sono nato. Parole che ritornano appropriate per questa scelta di portare in scena un romanzo così complesso e labirintico. Non sono il primo che porta un romanzo a teatro, basterebbe citare l’esempio del Pasticciaccio di Gadda con la regia di Luca Ronconi, per riconoscere un solco solido e riconoscibile. Ma perché́ un romanzo per fare teatro? Lasciatemi ancora far parlare Starnone: “I tratti fisici dei personaggi e delle figure chiacchierine erano nitidissimi e tuttavia non definiti, solo nomi e voci che subito lasciavano il posto ad altre tracce di nomi e di voci. Gli ambienti appena tratteggiati si dissolvevano in altri ambienti. L’ora, l’anno si confondevano con altre ore e anni del passato e del futuro. Tutto pareva chiuso in un cerchio luminosissimo, precariamente attraversato dalle parole, dalle presenze umane, storie e Storia bruciate da un eccesso di esposizione alla luce”. Parole che sembrerebbero scritte per scoraggiare chi fa teatro, e che riconducono alla forza evocativa e incantatrice della letteratura. Come si fa in teatro a rendere questo continuo sfumare di sensazioni, ambienti, volti, voci che scolorando dall’uno all’altro s’inabissano nella luce o nella trasparenza dell’acqua del mare? Come si fa a dar conto del sentimento con cui ci separiamo dall’intensità̀ insopportabile di ciò che abbiamo vissuto, decantato dal lampeggiare insistito del ricordo? È una sfida, un azzardo forse, ma vale la pena di correrne i rischi. Per chi come me si è innamorato del teatro nella stagione in cui grandi registi come Robert Wilson e Tadeusz Kantor contestavano l’idea corrente del teatro e ne riformulavano un’altra, totalmente diversa, affidata al tempo e allo spazio, il romanzesco rappresenta la possibilità̀ concreta di acciuffare il tema dei temi del teatro: il fuggevole.
E forse il grande tema del romanzo di questo meraviglioso, ed eternamente giovane, scrittore, Raffaele La Capria, è proprio quel continuo sfumare in cui la vita perde ogni presunzione di forma solida e diviene per sempre evanescente e liquida. In questa indeterminatezza è possibile accogliere in modo apparentemente disordinato il flusso delle voci e dei volti e riconsiderarne il messaggio cifrato. E probabilmente quello che più mi attrae, da scrittore e uomo di teatro, in Ferito a morte è proprio “il tentativo riuscito di raccontare la vita che succede prima ancora che diventi racconto, e la malinconia di raccontarla quando ormai lo è diventata”, come scrive ancora Starnone.
Come ogni racconto del tempo che passa – anche se tutto si svolge in una sola giornata – il romanzo di La Capria, in modo del tutto originale e unico, è attraversato dai fantasmi della Storia. In questo senso è anche un libro sul fallimento della borghesia meridionale, sul marciume corrosivo del denaro, sullo sciupio del sesso, sul disfacimento della città all’unisono con chi la abita, sulla logorrea e la megalomania, sul piacere di apparire e fingersi diversi da come si è. Soprattutto è una storia, come ha scritto Leonardo Colombati, che non ha principio né fine.
Per adattare (parola che da sempre mi sembra imprecisa o inadeguata) questo grande romanzo al teatro ho chiesto l’aiuto di uno scrittore come Emanuele Trevi, da sempre dedito nei suoi bellissimi libri a riportare in vita ciò̀ che è scomparso, a riacciuffare quel punto della vita che altrimenti sarebbe condannato a svanire per sempre.