Chi meglio di Andrea De Rosa è capace di setacciare il teatro attraverso il filtro della psicanalisi e del pensiero contemporaneo? Dopo il recente successo di Falstaff, il regista si serve di un grande cast, tra cui Laura Marinoni e Luca Lazzareschi, per allestire la tragedia del furor amoroso e interrogarci di nuovo con l’eterna domanda: chi è Eros?
Tema fondamentale del personaggio e della tragedia di Fedra è l’amore. Ma dobbiamo intendere bene di che tipo di amore si tratta. La parola latina che Seneca adopera più spesso per descrivere lo stato d’animo di Fedra è furor, che significa pazzia ma anche, e in misura ugualmente importante: passione violenta, delirio amoroso, desiderio sfrenato, etc. Comunque la si intenda, questa parola introduce a una visione dell’amore che invita a cancellare con forza le incrostazioni romantiche e sentimentali che su questo tema si sono depositate. Qui l’amore è inteso, letteralmente, come qualcosa da cui si viene posseduti, qualcosa che viene da fuori, qualcosa di profondamente estraneo, come un virus che inizia a riprodursi nel nostro corpo senza il nostro consenso. La metafora della malattia è una delle forme in cui Seneca lo descrive, infatti, con dovizia di dettagli nei suoi sintomi. Ma la malattia è solo una parte del furor da cui Fedra è presa. L’altra è l’eccitazione, l’esaltazione, la promessa di felicità che le viene dal pensiero di poter godere del corpo del figlio e di poter condurre con lui una vita piena di forza giovanile e di passione selvaggia, fatta di caccia alle bestie feroci, di amore della natura, di corsa a perdifiato nei suoi adorati boschi. Già la madre di Fedra si era innamorata di un toro, per essere posseduta dal quale era ricorsa al famoso stratagemma escogitato da Dedalo, e dalla cui unione era nata quella creatura mostruosa, mezzo uomo, mezzo toro, chiamata Minotauro. Il furor è dunque la malattia da cui Fedra, come già sua madre, non può liberarsi, se non con la morte. Non si tratta di un capriccio, né di un semplice sentimento, ma di una passione. Di fronte a questo personaggio e alla sua tragedia siamo costretti a indietreggiare, ad abbandonare le nostre superficiali certezze di uomini moderni e porci ancora una volta la domanda che Platone pose nel suo indimenticabile Simposio: che cos’è l’amore, chi è Eros?