Intrisa di neorealismo, l’opera simbolo di Giovanni Testori è la fotografia di un’Italia povera e grezza, dove le passioni scoppiano e dilaniano uomini e donne. Protagonista Beatrice Vecchione, insieme a un cast di giovani interpreti diretti da Valter Malosti.
L’Arialda (1960) è il terzo volume del ciclo de I segreti di Milano di Giovanni Testori, un grande e ruvido affresco in cui l’autore racconta, con straordinaria incisività e poesia, l’anima della periferia milanese negli anni del boom economico, a cavallo fra gli anni Cinquanta e Sessanta, in un momento delicatissimo della storia italiana. Un’umanità marginale, che lotta per la vita: Arialda e Gaetana, “negra” perché meridionale, si sfidano per un uomo, un bottegaio, che può offrire loro una reputazione di moglie e qualche soldo. Così come Eros, fratello omossessuale di Arialda, che spende la sua segreta sensibilità per un ragazzetto, Lino. Intorno a loro le ragazze e i ragazzi della periferia, votati a passioni violente e senza speranza. Malosti riscopre il nucleo del lavoro dello scrittore di Novate: non un bozzetto sociologico, ma un dramma dei sentimenti e della miseria, dove il riscatto non arriva mai. In una dimensione di aperta critica verso un momento storico di trasformazione, la transizione dell’Italia da paese rurale a industriale, con il suo tributo di sofferenza e sradicamento dalle radici di migliaia di persone, si innesta la necessità, per i protagonisti, di trovare una nuova dimensione, mentre aleggiano su di loro come avvoltoi, i fantasmi del passato. E ne L’Arialda, una vera e propria “tragedia popolare” nelle intenzioni dell’autore, il tutto viene innervato dalla creazione straordinaria della protagonista che si aggira in un mondo in cui il confine tra vivi e morti diviene sempre più labile. Ma come in tutti i grandi autori, commedia e tragedia si fondono inscindibilmente.