Federico Buffa si fa narratore, veste i panni del comandante del villaggio olimpico, ma questo ruolo non gli dà uno sguardo di parte sui fatti: un racconto sportivo e al contempo storico.
Un buco nella storia, un attimo in cui tutto sta già succedendo, ma nessuno se ne accorge: Federico Buffa racconta un punto irripetibile del nostro passato quando, a Berlino, lo sport diventa linguaggio comune, che unisce gli uomini e li definisce. Nella Germania nazista del 1936 le strade sono piene di uomini in uniforme: presto si comincerà a sparare, e le Olimpiadi sembrano fermare il tempo e la storia. In questo stranissimo conglomerarsi di uomini e avvenimenti, di oppressi che corrono per il genere umano, più che per una nazione o per l’altra, tra le storie che Buffa sceglie di raccontare troviamo quella di Jesse Owens, un afroamericano che vince quattro ori e non riceve dal presidente degli Stati Uniti nemmeno un telegramma di felicitazioni, e quella di Sohn Kee-chung, un maratoneta coreano costretto a correre sotto la bandiera giapponese. E se a Berlino Hitler e Goebbels volevano trasformare i Giochi olimpici nell’apoteosi della razza ariana, presto realizzeranno come quelle gare e quegli atleti li abbiano trasformati nel simbolo dell’uguaglianza e del rispetto.
Lo spettacolo miscela linguaggi teatrali in una narrazione civile ed emozionale, raccontata con la musica, le canzoni dell’epoca e le immagini di Leni Riefensthal. In scena oltre a Federico Buffa, i musicisti Alessandro Nidi, Nadio Marenco e la cantante Cecilia Gragnani.