Una signora sola su una panchina, in una torrida giornata di luglio. Milvia Marigliano è la mattatrice di questo folgorante monologo scritto da Sergio Pierattini. Ritratto di una borghese piccola piccola, con la regia di Peppino Mazzotta.
Seduta su una panchina sospesa nel vuoto, sotto un albero sradicato, che però ancora fiorisce, a pochi passi da casa, in una torrida giornata di luglio, una donna non più giovane fa il bilancio della propria esistenza. Si cala nel passato, si accanisce a scavare tra i ricordi, si abbandona a soprassalti di coscienza che la lasciano stordita e dolorante. Tra diario, confessione, sogno e delirio, si racconta parlando ininterrottamente per quasi un’ora: si chiama Ombretta Calco, come il titolo dell’atto unico di Sergio Pierattini. Protagonista Milvia Marigliano, regia di Peppino Mazzotta. Ombretta Calco, lo dice già il nome, quel “calco” che sa di riproduzione, di ripetibilità, è una persona come tante altre. Perché, si interroga il regista, deve ingaggiare, sotto il sole cocente, un duello con se stessa come se fosse una resa dei conti? È un viaggio, il suo, alla ricerca di senso attraverso una vita che le era parsa piena ed è stata invece sperperata nella ricerca di rassicuranti routine. Milvia Marigliano dà al personaggio accenti aspri ed ironici, aggressivi e teneramente sconfitti di fronte al vuoto di un’esistenza, alla fine, avara di gioie e caratterizzata da un’immensa solitudine. «Come premio per questa ricostruzione meticolosa, buffa e straziante, c’è la risposta – scrive Mazzotta – O la felicità». Ma nessuna felicità può esserci per Ombretta Calco se non una felicità minima, o per meglio dire: una felicità tragica.