Valter Malosti trasforma uno dei testi più famosi di Luigi Pirandello in una macchina labirintica capace di condurci nei meandri di una farsa nera, dove la pazzia diventa una posizione umoristica e inquietante, letale e insieme liberatoria per chi indossa il sonante berretto del matto.
Dopo La scuola delle mogli di Molière, Malosti procede con una nuova rivisitazione “d’autore” e si confronta per la prima volta con uno dei testi più popolari di Luigi Pirandello e con uno dei suoi personaggi più amati e controversi: quel signor Ciampa che Malosti definisce un “buffone tragico” – come il Nietzsche di Ecce homo e l’Arnolphe di Molière – e che cerca di liberare dallo stereotipo e dalle convenzioni per restituirgli la forza eversiva originaria. Forza che vive in massima parte nella violenza beffarda della lingua, una sorta di musica espressionista e tragicomica, e nei “corpi in rivolta” posti al centro di una scena che è anche labirinto e macchina che, con il suo sistema di gabbie e trappole conseguenti e sovrapposte, diventa un dispositivo capace di produrre la sua verità e imporla ai protagonisti. Come intuisce Jean Paul Manganaro: «Tutto quanto succede, non è più un problema di credibilità dell’avvenimento – al punto che sapere se Ciampa uccide o meno, se diventa pazzo o no, sono domande che non attendono risposta […]: ci sono solo fatti, apparenti e ambigui, ai quali si tratta di dare una forma, ora la più opportuna, ora la più indecente».