L’Istituto di Pratiche Teatrali per la Cura della Persona nasce dalle esperienze di Gabriele Vacis, Roberto Tarasco, Antonia Spaliviero e il gruppo vasto di collaboratori che li hanno seguiti in questi anni. Dalle varie edizioni di SCHIERA, metodo di allenamento all’attenzione, ai laboratori che sono confluiti nel film La paura siCura, dalle pratiche con i disabili fisici e psichici fino al progetto ideato da Antonia Spaliviero e realizzato con il Ministero della Gioventù, la Regione Piemonte e il Teatro Stabile di Torino Cerchiamo Bellezza.
Nel secolo scorso era di moda un dibattito che contrapponeva il teatro e lo spettacolo. Erano tempi di contrapposizioni: il teatro contro lo spettacolo, l’arte contro il mercato, il processo contro il prodotto… Quello che è accaduto negli ultimi anni è una sorta di “compensazione”. Per capirci: la globalizzazione marcia sui McDonald, ma contemporaneamente nasce e cresce SlowFood. Credo che nel teatro stia accadendo qualcosa del genere: i maestri del novecento hanno fondato pratiche che comprendevano processi e prodotti. Oggi: da una parte lo spettacolo sta assumendo dimensioni impensabili fino a pochi anni fa. Dall’altra il para-teatro, il teatro sociale, il teatro di comunità e di inclusione, assumono dimensioni forse insperate dagli stessi maestri che li hanno fondati. Le tecnologie permettono uno sviluppo dell’entertainment che coinvolge fisicamente lo spettatore. Mutano radicalmente i tempi e gli spazi dello spettacolo. E’ una bella sfida governare queste esplosioni spettacolari, che non sono più ambienti, ma iper-ambienti. Non più ambientazioni in scala ridotta, ma fenomeni di incremento della scala, realtà aumentata. Tutto molto divertente e appassionante.D’altra parte il teatro, incalzato dalla tecnologia, può finalmente permettersi di abbandonare all’entertainment i suoi caratteri più spettacolari per rivolgersi alla cura della persona.
Oggi c’è molta più gente che fa teatro, che danza, di quanta non vada a vederli teatro e danza. E’ una buona notizia. Ormai è pratica comune l’impiego delle tecniche teatrali per l’integrazione dei disabili, per la narrazione medica, per il recupero delle periferie disagiate. Il lavoro dei più significativi artisti contemporanei non percepisce più l’azione sociale come un dovere ideologico o una caritatevole elargizione. L’inclusione è ormai la poetica di molti tra gli attori, registi, drammaturghi più innovativi. Questa realtà comporta un mutamento radicale delle figure stesse dell’attore, del regista e del drammaturgo. Un loro ripensamento profondo. Il grande interprete di culto, l’esclusivo oggetto del lusso popolare, avrà sempre il suo posto nel cuore del grande pubblico, continuerà a parlare ai propri spettatori. Ma già da decenni questo fenomeno riguarda più che altro il cinema, la musica, lo sport… In teatro, gli spettatori, potendo essere sempre più attivi, genereranno, stanno già generando, nuove figure di attori indirizzate all’azione con le persone. Questi attori non parlano agli spettatori, agiscono con interlocutori consapevoli. Lo stesso discorso vale per la drammaturgia. L’accesso alla scrittura attraverso i social network, produce narrazioni finora sconosciute. Naturalmente questo porta con sé un pericolo: se tutti possiamo fare il teatro non servono più gli artisti… Siamo tutti artisti. Non è così. La bellezza genera sempre meno forme e nasce sempre più dall’inclusione, La bellezza nuova nasce dalla comprensione di artisti, educatori, operatori sociali, medici, psicologi… persone. E questo vale sia per il grande entertainment che impiega migliaia di figuranti in scena, sia che parliamo di inclusione sociale e di teatro di comunità. L’attore, il regista, il drammaturgo che serve adesso è una agente della comprensione.
Gabriele Vacis
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