Al Teatro Gobetti di Torino debutta martedì 8 novembre 2022, alle ore 19.30, lo spettacolo La signorina Giulia, il grande classico di August Strindberg di cui Leonardo Lidi cura adattamento e regia. In scena Giuliana Vigogna, Christian La Rosa, Ilaria Falini. Scene e luci sono di Nicolas Bovey, i costumi di Aurora Damanti, il suono di G.U.P Alcaro. Lo spettacolo, prodotto dal Teatro Stabile dell’Umbria in collaborazione con Spoleto Festival dei Due Mondi, sarà in scena nella stagione in abbonamento dello Stabile fino a domenica 13 novembre 2022. Dopo Spettri, La casa di Bernarda Alba, Fedra e Il misantropo Leonardo Lidi porta sul palcoscenico un nuovo capitolo della sua ricerca sui confini che i più giovani tendono ad autoimporsi. Il capolavoro di Strindberg, incentrato su un controverso rapporto servo-padrona e sullo scontro sociale tra classi diverse, consente al regista di parlarci di una generazione di figli gravata dall’impossibilità di costruirsi un futuro e dall’incapacità di diventare protagonista della propria storia. Richiusi in uno spazio opprimente, che li costringe metaforicamente a curvarsi al tempo e alle convenzioni, i tre giovani protagonisti cercheranno come gestire il proprio disagio nel corso di una notte, ballando, cantando e perdendosi nell’oblio, per non sentire più il silenzio assordante che li circonda.
Note di regia di Leonardo Lidi
Quando lo spazio è troppo piccolo fai l’amore con chi c’è, con l’ultimo uomo sulla terra, lo contendi con l’altra donna, cerchi di sedurlo sapendo già che tra pochi attimi lo odierai. Quando lo spazio è troppo piccolo se qualcuno sale sopra le nostre teste ci sembra che quello sia il Dio, un Conte gigantesco pronto a calpestare noi microbi con i suoi stivali fatti di fango, in un sadico tip-tap. Lo spazio pulito si sporca del nostro corpo. L’angolo di una stanza di una casa di una provincia, soffocante, un micro mondo dove nessuno sceglie niente e si entra nel corpo dell’altro per occupare meno spazio possibile. Continuo la mia ricerca sui confini autoimposti dalla mia generazione, dopo Spettri, Zoo di Vetro, Casa di Bernarda Alba, La Città Morta, Fedra consapevole che il concetto di lockdown ora interroga lo spettatore quotidianamente sui limiti fisici e mentali della nostra esistenza. La signorina Giulia è considerato il capostipite del movimento europeo detto “naturalismo” e August Strindberg, spigoloso e violento, in Italia spesso subisce la semplificazione della verità. Se è vero che l’opera di Strindberg fa parte della nuova formula di Zola “rendere vero, rendere grande e rendere semplice”, non bisogna scordare le grandi incoerenze, l’incapacità del normale, e la enorme statura teatrale dell’immorale drammaturgo svedese. Tre orfani vivono uno spazio dove è impossibile non curvarsi al tempo, dove la vita è più faticosa del lavoro, in una casa ostile da dove tutti noi vorremmo fuggire. Nell’arco di una notte capiamo come gestire questa attesa, prima della fine, cercando di ballare, cantare e perdersi nell’oblio per non sentire il rumore del silenzio; se nella macabra attesa del Finale di Partita o nell’aspettare Godot sono i morti e i vagabondi a dover gestire il nulla, in Strindberg sono i figli a dover subire l’impossibilità del futuro. Nello spavento del domani l’unica stupida soluzione è quella del gioco al massacro, il cannibalismo intellettuale. L’inganno. Il Teatro. Julie: Ottimo Jean! Dovresti fare l’attore.