In concomitanza con il centenario della nascita di Pasolini, che ricorre proprio nel 2022, vi proponiamo l’ascolto di un documento inedito, proveniente dall’archivio del nostro Centro Studi: la registrazione di un incontro pubblico che Pasolini tenne in occasione del debutto del suo Orgia, una tragedia in versi prodotta dal Teatro Stabile di Torino. Lo spettacolo si tenne in diversi luoghi della città e una di queste sedi fu la Sala Colonne del Teatro Gobetti, oggi Sala Pasolini.
Siamo a novembre del 1968 e la città è ovviamente attraversata da tensioni intellettuali e sociali significative, così, su esplicita richiesta del regista, vengono organizzati diversi momenti di incontro con gli spettatori e al termine di ogni recita il pubblico è invitato a fermarsi in sala per discutere con gli attori, il regista e il personale del teatro; partendo dallo spettacolo, si finisce con l’affrontare argomenti diversissimi tra loro: dalle scelte artistiche all’accessibilità della cultura, dagli operai della FIAT alle poesie pubblicate su L’Espresso, da Godard a Marx, con alcune affascinanti riflessioni sul Teatro e sul suo essere antitetico a ogni forma di comunicazione di massa.
Per permettervi di godere al meglio di questo documento, lo abbiamo editato trascrivendo le domande e le osservazioni dei partecipanti (poco chiare nell’audio originale), lasciandovi però la possibilità di ascoltare le risposte e i pensieri di Pasolini attraverso la sua viva voce.
Quello che vi proponiamo è un viaggio indietro nel tempo che riesce a parlare anche al nostro presente, una sorta di audio-ritratto di un momento di partecipazione animata alla vita teatrale della città.
Concedetevi un po’ di tempo per esplorare questa pagina e scoprire i suoi tesori.
vedi anche archivio.teatrostabiletorino.it
vedi anche Museo Pasolini
S – Il suo teatro è fondato sulla parola, come il teatro greco. Lei ha tentato in qualche modo ricostruire quel tipo di teatro? È ancora possibile? Nel suo teatro la parola è di difficile comprensione, non arriva facilmente a tutti.
S – Scusi tanto, se lei è troppo avanzato, come fanno gli operai della FIAT a capirla?
S – Scusi, come ha scelto il soggetto di Orgia?
S – Senta, che cosa ha voluto dirci con questi due personaggi, con questo marito e questa moglie?
S – Lei dice che la moglie non aveva coscienza, la moglie ha coscienza perché mentre prima parte col suo lavoro e parla dei suoi debitori che condividevano, della campagna e di queste cose, mi pare che abbia coscienza di come sia la vita normale e di esserne al di fuori.
S – Ritornerei al discorso di prima, al fatto che l’operaio non capisce la parola perché è condizionato da questa, chiamiamola “cultura di massa”.
S1 – Ma è giusto che gli uomini di cultura propongano un’alternativa, che non è soltanto in uno spettacolo, ma nelle strutture stesse. Secondo me bisogna porsi a un livello molto più alto, di contestazione veramente globale, una contestazione politica, di struttura, creare degli strumenti nuovi per la classe operaia, far sì la classe operaia vada avanti culturalmente, non andare verso dei compromessi che possono portare veramente a una confusione generale.
Le pongo l’esempio di dei pittori che sono andati tra l’altro alla Biennale di Venezia e hanno detto basta con la Biennale, basta con le gallerie d’arte. E questo è un problema, secondo me, che anche gli uomini di cultura e di teatro devono affrontare, e anche quelli del cinema. Fino a che punto lei sente questa necessità di cambiare le strutture, a livello ideologico?
S2 – Scusi un momento, vorrei aggiungere qualcosa. Mi pare assurdo per uno scrittore, che si propone in tempi riformisti, di restringersi a una classe. Perché adesso la classe intellettuale è necessariamente ristretta alla borghesia o a chi può. Il fatto di restringersi alla classe colta, mi pare che non sia un comunicare verso la massa. Da scrittori più importanti, che si proclamano letterati, può esser giustificato, ma da uno scrittore che si proclama popolare, e poi si restringe ai circoli letterari, oppure alle persone che possono comprendere, su piano che lei stesso definisce molto alto e molto difficile, mi pare assurdo.
S – Ma mi scusi, quando la cultura di massa viene fatta a fin di bene per la massa, non credo che sia un male…
S – La cultura è un fatto spirituale, individuale che chiunque può avere, anche un operaio.
S – Posso fare una precisazione? Lei ha citato le sue opere tipo La ricotta, Mamma Roma, Una vita violenta. Io sono d’accordo sul contenuto poetico e di rivolta, che possono contenere queste opere, però io sto facendo una distinzione tra quello che è l’opera e quella che è la struttura politica e sociale di distribuzione culturale dell’opera. È questo che gli operatori culturali in Italia non hanno capito! Lei adesso ricerca, in un ambito democratico, in un modo quasi idealistico, il fatto di voler proporre a un pubblico senza classe, interclassista, per così dire, un discorso che può andare bene per tutti, mentre invece per come la vedo io è errato. Lei sta conducendo un’operazione così, non vorrei offendere, che mi sembra idealismo, cioè credere che si sia attenuata la distinzione di classe per cui anche l’operaio può accedere a un certo tipo di operazione culturale, non è vero! Non è vero perché mancano le strutture. È questa la domanda che ponevo prima: mancando queste strutture, come si fa ad accedere presso le masse operaie?
S – Sì, ma si deve contestare all’interno del sistema…
S – Non è una posizione di comodo, questa?
S – E Teorema?
S – Quindi lei dovrebbe comprendere molto bene i problemi che aveva affrontato Godard soprattutto nei suoi primi film, che ha portato avanti una ricerca simile a quella che lei ha voluto condurre nel teatro.
S – E circa la lezione di Godard al personaggio del ribelle anarchico di Fino all’ultimo respiro e l’impegno, diciamo, de La cinese e di Week End?
S – A parlare in Italia di cultura di massa… non ci si dimentica dei problemi dell’Italia del Sud?
S – Qui non siamo d’accordo con la definizione di massa! La massa, secondo lei, allo stato attuale è composta da tutti coloro che vedono la televisione per più di mezz’ora al giorno.
S – Signor Pasolini! Lei è pieno di contraddizioni, per cui mi piace moltissimo! Perché soltanto gli uomini veri sono pieni di contraddizioni, gli altri sono degli ideologi. Quindi la ringrazio, tanto per cominciare. Adesso, se mi permette, se è possibile fare un discorso non classista – e credo che sia ancora possibile! – Se è possibile fare un discorso non classista, e se mi è consentito, vorrei tornare un momentino a Orgia, ma non per parlare di Orgia, che ho visto con molto interesse. Ma perché Orgia è scritto in una prospettiva credo psicologica e di tensione, il cui tema di fondo è sadico masochista. Lei, almeno da come frammentariamente la conosco, è un cristiano marxista, in qualche maniera. Anche io lo sono, in qualche maniera. Ora, è possibile partendo dalla tematica di fondo di Orgia che è sado-masochista proiettare questo discorso psicologico in un contesto sociale e dire per esempio che il tipo di contestazione che Gesù Cristo ha fatto verso la società è di tipo masochistico e il tipo di contestazione che Carlo Marx ha fatto verso la società è di tipo sadico?
S – Senta prima ha parlato di un fatto di buona educazione o di cattiva educazione alzarsi dalla poltrona quando si assiste a uno spettacolo che non piace. Alzarsi dalla poltrona mi sembra invece accettare la realtà e dire in faccia a tutti gli altri “questa cosa mi fa schifo” e basta.
S – Ma evidentemente qualsiasi azione che facciamo disturba anche in piccolissima parte qualchedun altro.
S – Però il fatto di dare una contestazione aperta, e sincera e istantanea mi sembra invece una cosa veramente buona. Anche perché non tutti mettono i cartelli e non tutti fanno discussioni dopo lo spettacolo.
S – Io volevo chiederle perché ha scritto una poesia contro gli studenti.
S – Però lei capisce perfettamente che a un certo punto la contestazione non è contro i poliziotti, ma verso lo strumento di potere rappresentato dai poliziotti. In quel caso lì lei ha fatto della pubblicità solo per i poliziotti, e quindi al sistema, perché la gente l’ha capita così.
S – Lei perché ha deciso di pubblicarla su L’Espresso?
S – Scusi, lei vorrebbe far entrare gli esclusi nella società?
S – Volevo farle una domanda completamente diversa. Lei ha detto che fa del teatro di parola come teatro di rottura con il teatro di tradizione. Perché il teatro tradizionale si serve, come mezzo, di un linguaggio convenzionale, che è quello che ci è stato imposto con l’unità d’Italia. Ma non crede lei che anche il linguaggio, la parola del suo teatro è una parola artificiosa? Creata forse dal di fuori, forse non sentita da chi partecipa a questo teatro, dallo spettatore. Io vedrei meglio, come teatro di parola, il teatro dialettale. Come lei aveva accennato prima. Non so, ad esempio, posso fare un esempio banale. Se si vuol raccontare una barzelletta che abbia un certo effetto è meglio raccontarla nel proprio dialetto – che sia piemontese, dialetto romano, ecc. – piuttosto che raccontarla in lingua, perché appunto questa lingua, come diceva lei, ci è stata imposta.