Malosti sceglie di approfondire il ciclo testoriano de I segreti di Milano con un’opera simbolo, dove le parole affondano “nei primordi della materia umana”, scandendo un lancinante dramma dei sentimenti. In scena un cast di giovani talenti diplomati alla scuola per attori del Teatro Stabile di Torino nel 2015.
Che l’ascolti fin che può, il cancro dell’amore!
Sono io, io sola che non posso!
L’Arialda (1960) è il terzo volume del ciclo de I segreti di Milano di Giovanni Testori, un grande e ruvido affresco in cui l’autore seppe raccontare, con straordinaria incisività e poesia, l’anima della periferia milanese negli anni del boom economico, a cavallo fra gli anni Cinquanta e Sessanta, in un momento delicatissimo della storia italiana. L’autore, per Giovanni Raboni il «più instancabile sperimentatore della letteratura italiana di questi ultimi decenni», con una sorta di poesia concretissima racconta le storie di chi – soprattutto i giovani, votati a definire il proprio destino – lotta per affermarsi tra strade di periferia, cavalcavia, ponti, prati, umili e spoglie stanze d’appartamento, palestre, osterie, bar e balere. Amori scomodi, legami torbidi e complessi, vertiginose incrinature emotive incidono le vite di questa umanità. Un realismo espressionista che nel campo teatrale lo pone al livello dei grandi del teatro europeo, addirittura anticipando gli esiti del primo Fassbinder. E ne L’Arialda, una vera e propria “tragedia popolare” nelle intenzioni dell’autore, il tutto viene innervato dalla creazione straordinaria della protagonista che si aggira, alla Kantor, in un mondo in cui il confine tra vivi e morti diviene sempre più labile. Ma come in tutti i grandi autori, commedia (e ce n’è molta ne L’Arialda) e tragedia si fondono inscindibilmente. L’Arialda segnerà anche una nuova “scandalosa” collaborazione con Luchino Visconti, (dopo Rocco e i suoi fratelli, la cui sceneggiatura è largamente ispirata ai primi due volumi de I segreti: Il ponte della Ghisolfa e La Gilda del Mac Mahon), che diresse Stoppa e la Morelli in uno spettacolo bloccato dalla proterva e retriva censura italiana dell’epoca, la stessa che colpì più volte negli stessi anni Pier Paolo Pasolini.