A venticinque anni da Oylem Goylem, Moni Ovadia torna nei panni del suo alter ego Simkha Rabinovich, con la carovana errante di musicanti klezmer.
«Una generazione fa vi raccontavo storie di esilio, io che in esilio sono da sempre, alla ricerca della mia anima», ricorda il settantaduenne Moni Ovadia, che torna a teatro a un quarto di secolo da Oylem Goylem nei panni del suo alter ego Simkha Rabinovich, con la inseparabile carovana errante di musicanti klezmer. Allora sei vagabondi, cinque musicisti e un narratore, approdavano in palcoscenico a bordo di una zattera. E Simkha raccontava le storie e cantava le canzoni del popolo eletto ed esiliato: canti tristi e allegri, luttuosi e nostalgici, nati per vivere le feste, le celebrazioni e i riti di passaggio del popolo che «illuminò e diede gloria alla Diaspora». Un mondo fatto di comunità grandi, piccole e minuscole, riunite attorno a una tradizione sempre viva e a una vertiginosa spiritualità. Dopo venticinque anni di erranza, con il consueto registro che mescola umorismo e tragedia, Simkha Rabinovich e i suoi compagni di strada proseguono il racconto di quel popolo fatto di storie e canti, storielle e musiche, piccole letture, citazioni e riflessioni. Una narrazione piena di colore, tra battute fulminanti e attacchi veementi (contro chi costruisce muri, come la «prigione a cielo aperto di Gaza»). Uno spettacolo disperatamente ottimista, nello slancio verso un mondo di giustizia e di pace. Il titolo, Nish koshe, in yiddish significa: così così. «Eccola qui – chiosa Moni Ovadia – la condizione umana».
di e con Moni Ovadia
con le musiche dal vivo della Moni Ovadia Stage Orchestra
regia Moni Ovadia
luci Cesare Agoni, Sergio Martinelli
scene, costumi ed elaborazione immagini Elisa Savi
CTB – Centro Teatrale Bresciano / Corvino Produzioni