L’iconoclasta regista britannica Katie Mitchell crea dal racconto di Marguerite Duras uno spettacolo cinematografico sul tentativo (fallito) di amare. Un set “in presa diretta” che fa del voyeurismo il tema centrale. Un viaggio nelle pieghe più profonde e morbose dell’eros.
Per Marguerite Duras, La maladie de la mort altro non è che l’incapacità di amare. A questo tema la scrittrice francese, autrice de L’amante, ha dedicato uno dei suoi racconti più provocatori e perturbanti. Liberamente ispirato a quel testo, nell’adattamento di Alice Birch, è lo spettacolo omonimo che porta la firma della acclamata regista britannica Katie Mitchell, una delle figure più influenti del teatro contemporaneo. Una grande produzione internazionale, partecipata dal Teatro Stabile di Torino, che ha debuttato a gennaio in prima mondiale al Théâtre des Bouffes du Nord di Parigi. Mitchell ripropone il concetto della Duras – un uomo e una donna, in una stanza d’hotel, stabiliscono una relazione sessuale perversa ma non riescono ad entrare in vera intimità – e lo fa con una lettura “cinematografica”, costruendo un set con tre macchine da presa che seguono morbosamente, in presa diretta, la dinamica tra i due protagonisti (Laetitia Dosch e Nick Fletcher). L’obiettivo vero dell’osservazione non sono i singoli personaggi quanto le categorie che rappresentano, i generi: il Maschile, il Femminile. Sulla scena si percepisce una minaccia incombente: La Duras inserisce il confronto uomo-donna in una dimensione misteriosa che prende la forma di un thriller psicologico, spiega la regista. Un viaggio nelle pieghe più profonde dell’eros, tra voyeurismo e pornografia. La voce narrante è di Jasmine Trinca.