L’amaro Natale di De Filippo è una cruda constatazione del fallimento della famiglia. Latella spinge agli estremi la propria regia, pluripremiata nella passata stagione.
Natale in casa Cupiello di Eduardo De Filippo ha avuto una gestazione complessa, a più riprese. Lo testimonia l’attaccamento dell’autore al testo, che nasce nel 1931 come atto unico e segna il debutto dei tre fratelli De Filippo nella compagnia del Teatro Umoristico. Portato a tre atti, Eduardo lo interpreta fino alla fine degli anni Settanta, continuando a lavorare al copione, arricchendolo, tagliandolo, ridefinendo i personaggi secondari, curandone le versioni radiofoniche e soprattutto quelle televisive. Luca Cupiello tenta di ricostruire la sua famiglia ideale attraverso il presepe.
Ed è qui che interviene il dramma: nessun componente della famiglia riesce a ritrovarsi, o meglio a riconoscersi, davanti alla natività che ogni anno il capofamiglia ricompone; nessuno sa gioire più di quella innocenza fanciullesca che nella sua assoluta cecità Cupiello esalta. Il Natale di Antonio Latella è stato fin dal suo debutto oggetto di giudizi contrastanti e di un vivace dibattito critico, che ha messo in evidenza le complesse sfaccettature di questa edizione, che si nutre di un cast di grandi interpreti. Lo spettacolo supera la tentazione naturalistica per addentrarsi, come il regista ci ha abituato, in una rilettura dove simboli, azioni e registri gridano la critica al perbenismo e alla celebrazione di un modello sociale e familiare ipocritamente fasullo già nel 1931.