Mario Perrotta non racconta Ligabue, ma è Ligabue, in un’immedesimazione totale di commovente fragilità che gli è valsa l’assegnazione di numerosi premi teatrali.
Mario Perrotta ha dedicato a Ligabue una trilogia, di cui Un bès è il primo capitolo. Tre momenti di intensa passione teatrale, un’ininterrotta narrazione che prende il via quando, timido ed esitante, si presenta tra il pubblico a mendicare un bacio, sottolineando l’estenuante bisogno di amare ed essere amato. Come accade nella pazzia, l’attore entra ed esce continuamente dalla parte, tentando di ricucire i brandelli di una vita marginale.
Nato in Svizzera, figlio di padre ignoto, successivamente riconosciuto dal marito della madre, alla tragica morte della donna Ligabue sarà affidato a una contadina con cui condividerà una vita di stenti e peregrinazioni.
I frequenti ricoveri negli ospedali psichiatrici elvetici si concludono con il suo rimpatrio in Italia a Gualtieri, un piccolo mondo ostile, dove diverrà lo scemo del paese, un uomo selvatico che si esprime per metà in tedesco e per metà in emiliano, che parla con le piante, disegna donne nude sugli alberi, cerca rifugio nei boschi, fino alla scoperta liberatoria della pittura. Nel 1962 Raffaele Andreassi, tre anni prima della morte dell’artista, gli dedica un documentario, ma sarà lo sceneggiato del 1977 con Flavio Bucci a farlo diventare un fenomeno culturale.