Martedì 24 aprile 2018, alle ore 19.30, al Teatro Gobetti, andrà in scena EMONE – La traggedia de Antigone seconno lo cunto de lo innamorato di Antonio Piccolo, testo vincitore nel 2016 del Premio per la Nuova Drammaturgia italiana promosso dalla Fondazione P.L.A.TEA. e realizzato con il sostegno di Compagnia di San Paolo e in collaborazione con Giulio Einaudi Editore. La regia, le scene, i costumi e il disegno luci sono di Raffaele Di Florio, musiche di Salvio Vassallo.
Lo spettacolo è interpretato da Paolo Cresta (Creonte), Gino De Luca (Guardia), Valentina Gaudini (Antigone), Anna Mallamaci (Ismene), Marcello Manzella (Emone).
Emone – prodotto da Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, Teatro Stabile di Napoli – Teatro Nazionale, Teatro di Roma – Teatro Nazionale in collaborazione con P.L.A.TEA. Fondazione per l’Arte Teatrale – sarà replicato al Gobetti, per la Stagione in abbonamento del Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, fino a domenica 29 aprile 2018.
Antonio Piccolo ci ripropone il mito di Antigone da un punto di vista che non era mai stato considerato: quello di Emone, figlio di Creonte e promesso sposo dell’eroina sofoclea. Con alcune varianti che riguardano, tra l’altro, i rapporti tra Ismene, la sorella di Antigone, e lo stesso Emone. Questa originale rappresentazione del mito sofocleo è un testo che attraversa tutti i generi teatrali, dalla commedia alla farsa, alla tragedia, sul ritmo di un fantasioso e affascinante dialetto napoletano che mescola alto e basso, registri letterari e popolari, lirismo e comicità. Il mito rivive così nella sua sostanza più autentica, specchio antico e rinnovato per parlare allo spettatore di oggi d’amore, di politica, di rapporti tra padri e figli. Un testo che sfida i parametri consueti del teatro contemporaneo riuscendo a sorprendere, divertire e commuovere.
Emone – prima opera teatrale di Antonio Piccolo – è il testo vincitore nel 2016 del Premio per la Nuova Drammaturgia italiana promosso dalla Fondazione P.L.A.TEA.
realizzato con il sostegno di Compagnia di San Paolo e in collaborazione con Giulio Einaudi Editore che ha pubblicato il testo nella Collezione di teatro.
«Le parole di questo dramma – sottolinea l’autore – vanno lette tutte per intero, senza troncamenti, aferesi o elisioni, tranne dove indicato con l’apostrofo. Richiedono, insomma, che si leggano non come parla il napoletano contemporaneo, bensì come si usa fare con la lingua di Giovan Battista Basile, che è il principale, ma non unico, inarrivabile maestro a cui questo testo indegnamente si ispira».
«Emone di Antonio Piccolo – scrive Raffaele Di Florio – attinge dalla cosiddetta saga dei Labdacidi (ossia le vicende di Laio, di Edipo e dei suoi discendenti) e si sviluppa intorno all’episodio che riguarda “la disubbidienza” di Antigone. Ma il testo apre nuove prospettive nel panorama immenso e celeberrimo del ciclo tebano. Piccolo, infatti, invita a guardare gli eventi secondo un punto di vista diverso, quello del cugino/promesso sposo di Antigone, personaggio marginale nella storia universalmente nota. E questo nuovo sguardo a innestare nella vicenda nuove ed inedite declinazioni. E proprio questo punto di vista “decentrato” – la storia narrata non dai protagonisti, ma da chi si trova ai margini – che mi ha ricordato le Folk Songs di Luciano Berio: un ciclo di canti popolari provenienti dalla tradizione orale di differenti paesi, uno sguardo sulla Storia attraverso comunità diverse che “fanno la Storia” pur non essendone “protagoniste”.
Ciò che colpisce nel testo è il senso di fissità, uno stato mentale di immobilismo che, tradotto sul piano spazio-temporale, ha fatto affiorare alla mia memoria alcuni paesaggi di Černobyl’ dopo anni dalla catastrofe nucleare: interi quartieri abbandonati, arredi logorati dall’incuria del tempo, immagini di luoghi che testimoniano una vita passata, un destino interrotto… Quelle immagini mi hanno fatto pensare ad alcuni ambienti onirici ripresi e descritti da Tarkovskij nei suoi mirabili lungometraggi. Il testo di Piccolo suggerisce un luogo scandito dalla circolarità infinita del tempo, in cui i personaggi non possono fare altro che abitarlo, raccontando ostinatamente il proprio passato in un eterno presente, come in un limbo.
I personaggi descritti sono “anime d’o priatorio” (anime del purgatorio), fantasmi ai quali l’autore chiede di rivivere all’infinito le proprie vicende, per “essere” ed “esserci”.
Ho immaginato uno spazio fermo nel tempo, un brandello di Luna Park, ormai abbandonato, che, sorto fuori dalle mura di Tebe, conserva nella sua carcassa solo gli echi di un passato felice. Ho immaginato in quel luogo – come quando si guarda una vecchia foto – una scena di serenità familiare: Ismene tra le braccia della madre mentre osserva Antigone che, in groppa al cavallino di una giostra, saluta il padre. Più in là il piccolo Polinice, con le ginocchia sbucciate, corre sorridente, inseguito dal fratello Eteocle che brandisce un bastone di legno a mo’ di spada.
Ho immaginato che in questo stesso luogo, gli stessi bambini, una volta cresciuti, abbiano impugnato armi non più di legno dipinto e cavalcato destrieri addestrati per la guerra.
Ho immaginato quello spazio testimone di eventi funesti, profanato, come se fosse un luogo di culto, perché gli scarponi delle milizie, le cui impronte impongono quasi sempre leggi che cancellano sogni e libertà, non dovrebbero calpestare prati destinati a piedini dai passi leggeri.
Ho immaginato una giostra ridotta a scheletro, testimonianza della barbarie della guerra.
Ho immaginato la scrittura di Emone appartenere al quel Realismo Magico caro a tanta letteratura del Novecento. Ho immaginato tutto questo grazie alla scrittura di Antonio Piccolo».