In alchimia, l’elisir è quella sostanza che trasforma i metalli vili in oro, la pietra filosofale, per intenderci, capace di donare l’immortalità. Ma cosa significa non morire?
Se pensiamo a tutto ciò che vive eternamente, dai classici del teatro, della letteratura o del cinema, ci renderemo conto che, come ha detto Orhan Pamuk nel suo discorso per il Nobel, il segreto sta “nell’abilità a mettersi nei panni di un altro”.
È da questo coabitare che i ragazzi di Elisir sono partiti per scrivere il loro manifesto, che prevede la condivisione del gesto della creazione artistica come ingrediente di un nuovo equilibrio. Sotto la guida di Michele di Mauro, Marina Gellona e Ilaria Gaspari, i ragazzi si sono confrontati con alcuni dei manifesti più celebri, come quello surrealista o quello futurista, per accorgersi però, che più o meno tutti hanno a che fare con la rabbia del voler disfare il vecchio mondo, mentre qui, il mondo si è già rotto. E allora perché non servirsi di questo vuoto che si è creato, come un’occasione da riempire con quello che desideriamo?
Eppure, il punto è capire chi siamo, noi desideranti, ancora prima di arrivare a quello che vogliamo. Il gruppo ne ha discusso a lungo, si sono interrogati sui meccanismi della creazione e sul rapporto con il pubblico come luogo sacro di ascolto e domanda reciproca, per convergere su un’unica certezza: il manifesto deve essere una riflessione che arriva solo fino a dove siamo tutti uguali. Attori e pubblico, e chiunque altro partecipi dell’urgenza profonda che porta al desiderio creativo.
Si tratta, infatti, di ritrovarci tutti lì: in quell’esatto momento in cui sentiamo la mancanza di qualcosa, e che solo noi possiamo colmare con un personale gesto di genesi. L’idea è quella di raccoglierci insieme in quel nulla primordiale, quel buio prima dell’inizio in cui tutti gli spettacoli sono lo stesso. È per questo che ciò che hanno deciso di scrivere i ragazzi sarà un manifesto pre-creativo, perché per lavorare nel futuro, è necessario fare un passo indietro.
Il manifesto sarà quindi un decalogo di disponibilità a fare spazio nel silenzio di partenza in cui la forza propulsiva si prepara. Il prima che vive nel teatro come luogo di esposizione del cittadino alla propria umanità; per abbandonare i meccanismi competitivi e guardare all’altro non come qualcuno a cui contrapporsi, ma come qualcuno in cui eternamente riconoscersi.
Giulia Binando