Questa settimana su Open: Argonauti vs. Libero Arbitrio.
Ma procediamo con ordine.
Il primo playtest dell’esperienza interattiva è andato piuttosto bene.
Bene perché, nonostante il gioco fosse ancora non finito ed il pubblico un po’ fuori target, i giocatori hanno risposto molto bene alla storia, al mondo di gioco e ai temi che si sono trovati ad affrontare.
Piuttosto perché si sono comportati molto, molto peggio del previsto. Hanno frainteso o ignorato istruzioni chiarissime, sfruttato i meccanismi del gioco per creare paradossi e preso le scelte sbagliate solo per vedere cosa ci fosse dopo. Da dove viene tanta riottosità, tanta resistenza al lasciarsi trasportare dal flusso della narrazione?
C’è un concetto in psicologia che ha il nome di agency, e indica la capacità di agire in maniera significativa su quello che abbiamo intorno, la facoltà di generare cambiamento.
È quello che differenzia pubblico e utenza, spettatore e giocatore.
Quando inseriamo un utente in un gioco, un contesto interattivo in cui si aspetta di avere agency, inizierà a cercare modi per generare cambiamenti significativi. Se la storia non gli offre possibilità di scelta reali, che provocano conseguenze all’interno della narrazione, andrà a cercare questi spazi di manovra altrove. Ma il gioco è una semplificazione della realtà, una rappresentazione limitata: se si inizia a saggiarne troppo i confini la struttura inizia a scricchiolare, e l’attenzione del giocatore passa improvvisamente dal contenuto alla forma.
L’ultima settimana è quindi dedicata a ripensare completamente l’organizzazione dell’esperienza per massimizzare l’agency dell’utente.
In questo modo, scelte che venivano date un per scontate (“Suvvia, chi vorrebbe mai collaborare con un regime totalitario culturofobo?”) diventano domande genuine, questioni da porre al giocatore senza preconcetti sulla risposta (“Seriamente, chi potrebbe voler collaborare con un regime del genere?” “E perché?” “E se questa volta tu provassi a farlo, solo per capire come sia essere qualcuno di così diverso da te?”)
Perché quando le scelte etiche e morali nel gioco sono vere, con un vero peso nel contesto, questo dà al giocatore la possibilità di eseguire l’ultimo passaggio: il ricondurre quello che ha imparato nel mondo ordinato e semplificato del gioco e cercare di applicarlo nella realtà là fuori.
La realtà di un 2020 che, al contrario del 20_20 degli argonauti, è complesso e caotico e senza condizioni di vittoria.
Ma ci si prova lo stesso.
Giovanni Pigliacelli