Lo stupro di Lucrezia e Amleto sono parte di una sorta di cantiere shakespeariano a cui lavoro da tempo: oltre ad essere spettacoli finiti, sono anche l’occasione per formare una generazione di giovani attori ed una ipotetica compagnia. Penso che Shakespeare sia uno degli autori più formativi del teatro, ed è molto interessante per un giovane protagonista confrontarsi con lui per due aspetti: da una parte è uno scrittore concretissimo e dall’altra il suo linguaggio pone problemi di interpretazione complicati per gli interpreti più giovani.
Ho iniziato da anni un progetto intorno ai poemetti shakespeariani, iniziando da Venere e Adone, perché riconosco in questa forma espressiva una libertà ulteriore rispetto alla drammaturgia teatrale. La loro lingua mi permette di lavorare più liberamente alla struttura scenica, non sono vincolato a interpretazioni preesistenti, è come viaggiare nel vuoto, ed è intrigante. Lo stupro di Lucrezia è un testo molto attuale, lo stiamo scoprendo collaborando con diverse associazioni di donne, in particolare con Se non ora quando. Va a toccare un punto dolente della nostra attualità, l’idea che la nostra contemporaneità ha del corpo femminile, come fosse un campo di conquista o una città da espugnare. Una cosa formidabile di questo testo, quasi unica nel campo letterario almeno fino ai giorni nostri, è la lunga meditazione che la donna compie dopo aver subito l’atto terribile dell’abuso sessuale, e questa meditazione ha carattere filosofico e metafisico, sono invettive contro il tempo, l’occasione, ma è anche una riflessione strettamente fisiologica, perché Shakespeare da una parte riesce a raggiungere vette altissime, dall’altra è molto concreto, ci sono sei stanze dove si parla del pene dell’uomo. La sua scrittura è davvero ardita, di una contemporaneità straordinaria. Senza voler per forza andare a trovare qualcosa di contemporaneo nei testi classi, la sua parola è universalmente contemporanea…
Per lavorare in teatro, per fare un lavoro serio e sensato occorre conoscenza. Per affrontare un impegno di questo tipo ci voleva un lavoro precedente, che non potevo fare con nessun altro se non con loro. Dopo aver deciso che questo progetto non lo facevo io in prima persona, sono una figura presente ma laterale, dovendo scegliere dei giovani ho scelto quelle che ho ritenuto più adatte all’interno della classe. Entrambi hanno un caratteristica particolare legata al corpo, non volevo in nessun modo fare una esposizione di corpi che avesse carattere volgare e trascendesse, e entrambi hanno un fisicità interessante, neoclassica, quasi fuori tempo. E la predisposizione a compiere un atto estremo: oltre a denudare il corpo mettono ad dura prova l’interiorità. Si tratta di un lavoro sull’abbandono, una forma di dimenticanza della materia, come fanno i grandi concertisti.