In questo spettacolo gli Stati Uniti del Sud costituiscono un po’ la sagoma, il contenitore di quanto accade, sono l’orizzonte visivo che è anche l’orizzonte di formazione di Tennessee Williams. Io questo contenitore l’ho tolto di mezzo: rimangono delle porte che un po’ fantasiosamente si aprono in scena… Il senso di pienezza di Rodaggio matrimoniale, mai rappresentato in Italia ma probabilmente neanche in Europa, nasce da una serie di rapporti di coppia. È un lavoro inconsueto nel panorama di Williams: è una della commedia leggera, con alcuni risvolti da interpreti forti, un po’ più dolorosi. Quello del drammaturgo è uno sguardo ironico sulla vita a due, su una neocoppia terrorizzata dalla vita a due e da una coppia di poco più grande, con un bimbo di tre anni.
Tra i quattro personaggi il più sorprendente è quello di Dorothy, la moglie di Raph: è la vigilia di Natale del 1958, sta nevicando, ed è come se lei aprisse la porta e facesse entrare la neve a calmare gli animi, con l’ironia che è propria della fase più matura di Williams. Proprio l’ironia di Dorothy porta anche il possibile accesso a quell’altro pilastro dell’amore che è la tenerezza.
Rodaggio matrimoniale è una sorta di prova di uno spettacolo: quando il pubblico entrerà io sarò in sala in modo informale. Non mi sarei mai sentito di rappresentare sul palcoscenico l’America di Ricky Cunningham o una casa di Nashville fine anni cinquanta. Tutto si dipana come in una prova filata, giocandoci su come se avessimo grandi mezzi per cambiare gli ambienti. Il pubblico ha una fervida immaginazione e io mi sto rendendo conto che troppo spesso in teatro noi sottovalutiamo la sua competenza… Me lo dimostra il fatto che quando siamo in tournèe gli spettacoli sono sempre pieni. Il pubblico si ricorda di te e vuole tornare a vederti. E quanto accade al Gobetti è emblematico, c’è una storia di cinque anni che mi lega a questa sala. Io ho molta ammirazione per chi esce di casa, quando fa freddo, quando piove, per andare a teatro. Sono eroici.