Commedia amara che parla di matrimonio, sacrificio, tradimento e bisogno di libertà: dopo il grande successo de La scuola, Silvio Orlando torna in scena con un testo di Domenico Starnone, penetrando le crepe e le fragilità della famiglia.
«Se tu te ne sei scordato, egregio signore, te lo ricordo io: sono tua moglie»: si apre con queste parole la lettera che Vanda scrive al marito che se n’è andato di casa, lasciandola in preda a una rabbia impotente e a domande che non trovano risposta. Si sono sposati giovani all’inizio degli anni Sessanta, per desiderio di indipendenza, ma poi attorno a loro il mondo è cambiato, e ritrovarsi a trent’anni con una famiglia a carico è diventato un segno di arretratezza più che di autonomia. Lui è stato a lungo a Roma, innamorato della grazia lieve di una nuova compagna con cui i giorni sono sempre gioiosi, e lei è rimasta a Napoli con i figli, a misurare l’estensione del silenzio e il crescere dell’estraneità.
Che cosa siamo disposti a sacrificare, pur di non sentirci in trappola? E che cosa perdiamo, quando scegliamo di tornare sui nostri passi? Perché niente è più radicale dell’abbandono, ma niente è più tenace di quei lacci invisibili che legano le persone le une alle altre.
Silvio Orlando, reduce dal successo di The Young Pope di Paolo Sorrentino, è il marito che torna alla famiglia abbandonata anni prima, per scoprire intatto il risentimento della moglie e dei figli, incapaci di capire le motivazioni di adulti così fragili e privi, anch’essi, di modelli da seguire o, almeno, da comprendere. Una sinfonia del dolore, un catalogo dolceamaro che indaga con ironica malinconia il fallimento di una generazione, quella del Sessantotto, incapace di uscire dalla fascinazione degli ideali di libertà e indipendenza e disarmata di fronte alle conseguenze del disastro.
01_Comunicato stampa LACCI con SILVIO ORLANDO