Martedì 11 ottobre 2022, alle ore 19.30, debutta in prima assoluta al Teatro Gobetti DULAN LA SPOSA di Melania Mazzucco, per la regia di Valerio Binasco e l’interpretazione dello stesso Binasco con Mariangela Granelli e Cristina Parku. Le scene sono di Maria Spazzi, i costumi di Katarina Vukcevic e le luci di Alessandro Verazzi. Lo spettacolo, prodotto dal Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale sarà replicato al Gobetti fino al 30 ottobre e successivamente sarà in tournée in Italia.
Scritto per la radio nel 2001 da Melania Mazzucco e premiato al 53° Prix Italia come miglior radiodramma dell’anno, questo testo dalle forti tinte noir arriva sul palcoscenico diretto e interpretato da Valerio Binasco, insieme a Mariangela Granelli e Cristina Parku. La storia è quella di una coppia sposata, tormentata dal fantasma di una ragazza annegata nella piscina del loro condominio. Dialogo dopo dialogo, una spessa spirale di domande prende corpo e si fanno strada dei terribili sospetti: qual è la vera indole dell’uomo? E chi era davvero quella ragazza, tradita dai propri sogni e piena di disincanti?
Melania Mazzucco nelle sue note al testo racconta del suo incontro fortuito con due giovani donne straniere (conosciute la prima durante un viaggio in Asia centrale e la seconda in Italia) e scrive: «La loro determinazione – disperata e invincibile – a rivendicare per sé un’altra vita, e a mettere noi di fronte alle nostre scelte e ai nostri comportamenti, ha segretamente lavorato nei miei pensieri, fino a prendere la forma di un breve racconto, Seval, che nel 1991 fu pubblicato su Nuovi Argomenti.
Forse parlava di immigrazione, forse d’amore, di responsabilità, dominio e sottomissione, o del conflitto fra opportunità e visioni della vita di genti nate in zone diverse del mondo.
Da allora, la storia della “straniera” non ha mai smesso di risuonare in me, e stimolare riscritture, varianti e sperimentazioni in altri generi e linguaggi. Nel 2001 è diventata un radiodramma prodotto da RAI Radio 3: con la regia di Wilma Labate, e l’interpretazione di Valerio Binasco e della giornalista bangladese Neeman Siobhan, vinse l’ambito premio internazionale Prix Italia, e fu trasmesso in numerosi Paesi europei, dalla Germania fino all’Irlanda. Provammo a trasformarla in film, sia con Wilma Labate sia con Taru Mäkelä, la regista dell’edizione finlandese. Per una ragione o per l’altra, le sceneggiature sono rimaste sulla carta. Ma forse questa storia scarna, essenziale e feroce, è più adatta alla scena che al cinema. In fondo è un kammerspiel claustrofobico, ambientato in una casa – che non è solo lo spazio dell’azione, ma anche il suo fine: perché la dimora, per chi non ne ha una, neanche in senso metaforico di anima integra, è già tutto.
Sono passati ventun anni: migliaia di ragazze come la protagonista sono arrivate in Italia, a volte inseguendo un fantasma, spesso una promessa, sempre un sogno. Alcune delle questioni affrontate da Dulan sono diventate urgenti e ineludibili. Etiche, ma anche politiche. Valerio Binasco fu un magnifico Lui (il protagonista maschile, senza nome). Lo sarà ancora, con la maturità ulteriore delle esperienze affrontate. Ma è anche il regista ideale per ridare vita a questa storia – rimasta inalterata nella sostanza, ma con alcuni cambiamenti resi necessari dal teatro e dal passaggio non indolore nel nuovo secolo. Dulan è una storia insieme senza tempo e al tempo presente uncinata, capace di materializzare le nostre paure e graffiare le nostre certezze. E far chiedere a ogni spettatore se sta con Lui, con la ragazza o con la sposa. La risposta non è scontata».
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